Recensione di “I tempi nuovi” di Alessandro Robecchi, Sellerio, 2019

Nuova avventura di Carlo Monterossi, di professione autore televisivo milanese collaboratore di una grossa emittente tv, da lui “affettuosamente” chiamata la Grande Fabbrica della Merda; Monterossi è l’ideatore del programma di cosiddetta “tv-verità” Crazy Love, condotto dalla diva Flora De Pisis, meravigliosa parodia di tante conduttrici di tv spazzatura che infestano i vari canali.
Nonostante questo lavoro lo faccia guadagnare benissimo, regalandogli un tenore di vita che ben pochi si possono permettere (abita in un grande e lussuoso appartamento in centro a Milano, difficilmente si sveglia prima di mezzogiorno, è servito e riverito da una colf ucraina talmente perfetta da sembrare un robot, va e viene dall’ufficio quando e come gli pare, pranza e cena in ristoranti costosi…), Carlo lo disprezza profondamente, addirittura se ne vergogna, ma non ha la forza (forse nemmeno la voglia) di lasciarlo definitivamente; come gli dirà una delle protagoniste di questo libro: “Cosa fai per cambiare la tua vita? Te ne lamenti, ma ti ci avvolgi come in un piumone nelle sere d’inverno”. Questa citazione sintetizza perfettamente il carattere di Carlo: arguto e sagace, ma allo stesso tempo ingenuo e sognatore, indolente ma attivo al momento giusto, disincantato ma sempre generoso, vorrebbe limitarsi a guardare le vite degli altri, ma “le guarda troppo da vicino e questo finisce per sconvolgere la sua”.
Mentre Carlo cerca di districarsi nella “ristrutturazione” di Crazy Love per adeguarlo ai “tempi nuovi”, viene coinvolto dall’amico Oscar Falcone nell’ennesima indagine privata di quest’ultimo; Falcone, infatti, è una sorta di investigatore privato, che finalmente riesce ad aprire un vero e proprio ufficio (nei precedenti episodi le sue sedi operative di Falcone erano prevalentemente la sua auto e la casa di Carlo). La prima cliente della nuova agenzia “Falcone Sistemi Integrati” (nel frattempo arricchitasi di un nuovo elemento nella persona di Agatina Cirrielli, poliziotta che avevamo incontrato nel romanzo “Follia maggiore” e che qui ritroviamo stanca, letteralmente stufa della burocrazia e delle contraddizioni di cui il lavoro della Polizia è pieno, talmente nauseata che decide di cambiare mestiere), è Gloria, una giovane, bella e misteriosa signora che si rivolge ai nostri eroi per ritrovare il marito, a suo dire scomparso da diversi giorni senza lasciare tracce.
Anche in questo romanzo le vicende di Carlo e Oscar corrono parallele con quelle della Polizia: infatti ritroviamo gli agenti Carella e Ghezzi, questa volta alle prese con l’omicidio di Filippo Maria Gelsi, un ragazzo trovato morto nella sua auto, nella periferia milanese alle porte di Segrate, ucciso da un colpo di pistola alla tempia che fa pensare ad una vera e propria esecuzione; solo che Filippo era un ragazzo qualunque, studente universitario modello proveniente da una famiglia normale, con una ragazza normale, amicizie normali, nessun legame apparente con la malavita né con ambienti criminali in genere.
Da notare una peculiarità di questo romanzo rispetto agli episodi precedenti della serie: i due gruppi di protagonisti (Monterossi e Falcone da una parte e Carella e Ghezzi dall’altra), pur seguendo le stesse tracce, non si incontreranno mai, se non per una telefonata tra Ghezzi e Monterossi alla fine del libro, telefonata peraltro non relativa alla vicenda principale, ma ad un caso di cui Ghezzi si occupa in via ufficiosa, coinvolto dalla moglie.
Con il consueto stile ironico, tagliente e canzonatorio, Robecchi tesse una trama coinvolgente che procede a ritmo serrato, senza pause né tempi morti, sullo sfondo di una Milano attraente e luccicante in superficie ma piena di attività illecite, denaro sporco e violenza appena si guarda dietro la facciata, una Milano meravigliosamente descritta nel prologo del romanzo con una carrellata che ricorda tanto nello stile “La passeggiata” di Aldo Palazzeschi.
Con il sottofondo delle canzoni di Bob Dylan, di cui Monterossi è un grande estimatore nonchè collezionista, Robecchi descrive efficacemente una società che va alla rovescia dove i criminali sono milionari mentre i laureati svolgono lavori precari in cambio di stipendi da fame e per fare il “salto di qualità” diventano delinquenti. Tutto questo non cambia neanche nei cosiddetti “tempi nuovi”: anche Carlo, alla fine, è costretto a riconoscere che i tempi nuovi non sono altro che “i vecchi, cari tempi di merda di sempre, solo un po’ più cattivi”.
I personaggi sono caratterizzati come al solito perfettamente, il lettore affezionato ritrova quasi degli amici di famiglia che ti dispiace salutare troppo presto e che non vedi l’ora di rincontrare.
Trama: 8/10
Stile narrativo: 9/10
Linguaggio: 9/10
Originalità: 7,5/10
Personaggi: 8/10
Dialoghi: 9/10
Ritmo narrativo: 8/10
Descrizioni: 7,5/10
Atmosfera: 8/10
Capacità di tenere il lettore incollato alla pagina: 9/10
Recensione di “I tempi nuovi” di Alessandro Robecchi, Sellerio, 2019ultima modifica: 2020-02-07T16:41:53+01:00da serenabag1976
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