Recensione della “Trilogia del Baztan” di Dolores Redondo

Anche se si tratta di tre romanzi distinti, ho deciso di recensirli in unico articolo non solo perché hanno in comune ambientazione e personaggi, ma perché costituiscono, di fatto, un racconto unitario dei vari aspetti e sfaccettature di una stessa vicenda.
Partiamo dall’ambientazione: il Baztan che dà il nome alla trilogia è un fiume della Navarra, regione della Spagna settentrionale abbarbicata sui Pirenei, al confine con la Francia e non lontano dall’Oceano. Le vicende si svolgono in questa zona, soprattutto nel paese di Elizondo, situato nella vallata creata dal fiume e circondato da boschi sconfinati, in cui il clima è perennemente umido, piovoso quando non nebbioso, spesso sferzato da temporali che sfociano in vere e proprie bufere; tutto ciò contribuisce a creare un’atmosfera di mistero che fa da sfondo perfetto alle vicende dei romanzi, incentrate su omicidi rituali e oscure sette pseudoreligiose. L’autrice è molto brava nel descrivere accuratamente i luoghi: si sofferma sui dettagli degli edifici, delle strade, talvolta delle singole stanze di una casa; la descrizione degli ambienti naturali, poi, è ancora più suggestiva: vengono riportati fedelmente i colori, gli odori, i suoni, le sensazioni trasmesse dal cielo, dal vento, dal fiume, dagli alberi, mettendo in risalto il contrasto tra la bellezza e l’idillio della natura e la crudeltà delle vicende raccontate.
Questo contrasto è ben percepito e rappresentato dalla protagonista dei romanzi, Amaia Salazar, trentenne ispettrice della squadra omicidi di Pamplona, legata alla sua terra di origine da un rapporto di amore/odio. Amaia è una donna molto bella, sposata con James, ricco e famoso scultore americano che la adora e con cui vive a Pamplona; è una poliziotta con capacità intuitive e deduttive fuori dal comune, ha fatto esperienza nell’FBI americana e viene spesso incaricata di risolvere casi fuori dall’ordinario; queste caratteristiche, unite a un carattere non propriamente facile né socievole, la portano talvolta ad avere problemi con qualche collega restio a riconoscere la sua autorità e suoi metodi poco ortodossi.
Nonostante la carriera brillante e il matrimonio che va a gonfie vele, si capisce fin da subito che Amaia è una donna tormentata, cupa, malinconica, continuamente oppressa da incubi e pensieri negativi, ama il suo lavoro ma lo vive come se fosse una missione divina, al limite del fanatismo e questo le procura ulteriori tensioni e sofferenze. Sembra trovare sollievo soltanto nel rapporto con il marito, ma anche la sua sfera privata sarà presto travolta dalle conseguenze dei casi su cui è chiamata ad indagare.
Per quanto riguarda la trama, la capacità di raccontare e di tenere il lettore incollato alla pagina, si nota una evidente evoluzione dello stile dell’autrice man mano che si passa dal primo al secondo al terzo romanzo. Infatti, mentre nel primo episodio il racconto è a tratti frammentario e disorganico (ad esempio ci si sofferma troppo a lungo su certi particolari e si sorvola su altri, la trama viene inframmezzata di episodi che non c’entrano niente con la vicenda e che servono solo a creare l’atmosfera soprannaturale e spirituale che intride tutto il romanzo, la conclusione sembra banale e ingenua), negli episodi successivi (in particolare l’ultimo) si assiste ad un vero e proprio crescendo della capacità dell’autrice di intrecciare le vicende raccontate creando pathos e tensione, e ci si rende conto che particolari in apparenza insignificanti presentati all’inizio della trilogia trovano una spiegazione nei libri successivi, facendo sì che ciascun libro non possa essere considerato come un racconto indipendente ma assolutamente legato agli altri due. Lo stesso succede con le caratterizzazioni dei personaggi: mentre nel primo romanzo sono descritti in maniera piuttosto superficiale e stereotipata (la sorella cattiva, la sorella buona, la madre pazza, il marito adorante, il poliziotto negligente, la ragazzina perfetta che in realtà ha una doppia vita), man mano che si prosegue le varie personalità (soprattutto quella di Amaia) emergono in tutte le loro sfaccettature e contraddizioni.
Il mio invito, quindi, è di superare le perplessità che inevitabilmente scaturiscono dalla lettura del primo romanzo e di proseguire con i due successivi: si rimarrà piacevolmente sorpresi e si riuscirà a capire meglio la personalità della protagonista, che sinceramente nel primo episodio non ce la fa proprio a suscitare l’affetto del lettore, risultando a tratti anche antipatica.
Purtroppo non vengono date spiegazioni complete ed esaustive di tutti gli aspetti dei misteri risolti (come piacerebbe a me, in stile Agatha Christie), lasciando molto all’intuizione del lettore, ma penso che questo sia un effetto voluto dall’autrice, forse per invogliare a leggere eventuali altri romanzi che proseguono la serie.
EPISODIO 1 “Il guardiano invisibile”, Salani, 2015
Amaia è costretta a spostarsi da Pamplona, città in cui vive con il marito, a Elizondo, suo paese di origine, per indagare su una serie di efferati omicidi di ragazzine.
A Elizondo Amaia ritrova le sorelle maggiori -Flora, arrogante e autoritaria, che ha ereditato la gestione della pasticceria di famiglia, e Rosaura, timida e remissiva, entrambe in fase di separazione dai rispettivi mariti – e la zia Engrasi, anziana e vivace signora a cui Amaia è affezionatissima. Scopriamo, infatti, che Amaia è stata cresciuta proprio dalla zia a causa di una non meglio specificata grave malattia nervosa della madre.
Man mano che la vicenda si dipana, tra indizi reali e personaggi mitologici che si materializzano davanti agli occhi della nostra investigatrice (divisa tra la razionalità tipica della professione di poliziotta e la spiritualità con cui la sua terra e la sua famiglia la contagiano), scopriamo sempre più particolari dell’infanzia infelice di Amaia e delle dinamiche della sua famiglia di origine, composta dal padre Juan, pasticcere, che adora lei e le sue sorelle, e dalla madre Rosario, che manifesta fin da subito una inspiegabile avversione verso l’ultima delle sue figlie.
Mentre Amaia continua le indagini, altre due adolescenti vengono uccise con le stesse modalità, ma una di esse, Johana, viene ritrovata senza un braccio, che si scoprirà esserle stato asportato dopo la morte. Questa sostanziale differenza con gli altri omicidi, la cosiddetta “nota stonata”, permetterà ad Amaia di individuare il serial killer, che è più vicino a lei di quanto si pensi.
Questa storia e la sua tragica conclusione provocheranno dei grandissimi sconvolgimenti nella vita della famiglia di Amaia, rompendo degli equilibri già fragili in partenza.
EPISODIO 2 “Inciso nelle ossa”, Salani, 2016
In questo episodio troviamo Amaia incinta, in procinto di partorire il suo primo desideratissimo figlio.
Prima di andare in congedo maternità, Amaia riesce a risolvere il mistero della scomparsa di una signora di mezza età, Lucia, scoprendo che è stata uccisa dal suo compagno, un individuo odioso e violento che non sembra minimamente pentito del suo gesto e che si ostina a non rivelare dove ha nascosto il cadavere. Nel frattempo, durante il processo che si sta svolgendo a Pamplona a carico dell’assassino di una delle vittime uccisa nel libro precedente, l’uomo si suicida lasciando un messaggio per Amaia: un biglietto in cui è scritta unicamente la parola “Tarttalo”. Si scoprirà che il Tartalo è una antica e sanguinaria divinità del Baztan, che uccide e divora le sue vittime.
Dopo poche ore dall’aver ricevuto questo strano messaggio, Amaia partorisce. Una volta rientrata al lavoro qualche mese dopo, uno dei suoi primi incarichi sarà quello di interrogare l’assassino di Lucia, deciso a rivelare soltanto a lei il luogo di sepoltura della sua vittima; mentre il cadavere di quest’ultima viene ritrovato privo di un braccio, l’assassino si suicida in carcere, lasciando un messaggio con scritto “Tarttalo”.
Mentre Amaia cerca di risolvere questa misteriosa vicenda, si registrano atti di vandalismo in una chiesa del Baztan: padre Sarasola, un importante prelato che svolge anche la professione di psichiatra, insiste perché sia Amaia a condurre le indagini su questi episodi, inizialmente banali, ma che progressivamente diventano sempre più inquietanti perchè poteranno al ritrovamento di ossa umane.
Mentre Amaia indaga sulle due vicende con l’aiuto del giovane e affascinante giudice Markina, intuendo che i vari fatti sono tutti collegati tra loro, scoprirà anche aspetti sconvolgenti legati alla sua nascita e al passato di sua madre, che continua a terrorizzarla anche nel presente.
EPISODIO 3 “Offerta alla tormenta”, Salani, 2019
Amaia e la sua squadra indagano sulla morte, apparentemente naturale, di una bimba di pochi mesi; ben presto l’autopsia rivela che la piccola è stata soffocata intenzionalmente dal padre, che si suicida poco dopo. Un caso semplice, quindi, anche se molto triste; tuttavia Amaia intuisce che dietro questo singolo episodio c’è una serie di omicidi di neonate perpetrati nella valle del Baztan nel corso di vari decenni e che sembrano essere iniziati proprio nel periodo in cui è nata lei. Comincia così ad indagare, aiutata dai membri della sua squadra e dal sempre più intrigante giudice Markina, confrontandosi con madri private delle loro figlie, aperture di tombe, riesumazioni di cadaveri, pazienti di cliniche psichiatriche e la costante presenza del sovrannaturale e della mitologia religiosa basca.
Un’indagine molto faticosa, soprattutto dal punto di vista psicologico, che metterà a dura prova la poliziotta, anche perché la porterà ad affrontare una profonda crisi del suo matrimonio e la perdita del suo amico più caro. In più scoprirà che molte delle persone a lei vicine non sono affatto quello sembrano.
I voti si riferiscono all’intera trilogia.
Trama: 7/10
Stile narrativo: 6,5/10
Linguaggio: 7/10
Originalità: 7,5/10
Personaggi: 7/10
Dialoghi: 6/10
Ritmo narrativo: 7/10
Descrizioni: 8/10
Atmosfera: 8/10
Capacità di tenere il lettore incollato alla pagina: 7,5/10
Recensione della “Trilogia del Baztan” di Dolores Redondoultima modifica: 2020-03-10T19:32:45+01:00da serenabag1976
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