Recensione di “Il metodo del coccodrillo” di Maurizio De Giovanni, Mondadori, 2012

Napoli è considerata da tutti la città del Sole per antonomasia, non solo dal punto di vista climatico, ma anche da quello umano: ci immaginiamo i suoi abitanti come persone allegre, aperte, amicone, a volte un po’ invadenti, sempre pronte ad aiutarti ma anche a ficcare il naso negli affari tuoi.

Invece quella che ci presenta De Giovanni ne “Il metodo del coccodrillo” è una città molto lontana dall’immaginario comune: piovosa, umida, cupa e fredda non solo per il clima ma anche per le persone che la abitano, solo apparentemente amichevoli e affabili, in realtà chiuse, diffidenti, timorose di mettersi nei guai e di vedere cose che non dovrebbero, per questo disinteressate al limite dell’insensibilità anche verso fatti orribili che capitano accanto a casa loro.

E’ questa atmosfera di chiusura e indifferenza che sembra pervadere la città che permette ad un assassino di uccidere silenziosamente e velocemente le proprie vittime: tre ragazzi diversissimi tra loro per carattere, estrazione sociale, zona di residenza (Quartieri Spagnoli, Posillipo, Vomero), tutti uccisi praticamente sotto casa da un solo colpo di pistola alla testa. Unico elemento in comune tra i delitti, alcuni fazzoletti di carta umidi lacrime ritrovati nei pressi dei cadaveri, che faranno guadagnare all’assassino il soprannome di “coccodrillo”.

I poliziotti dei vari commissariati coinvolti, coordinati dal magistrato Laura Piras, non riescono a capire il collegamento tra questi delitti, tutti evidentemente messi a segno dalla stessa mano e inizialmente –ma erroneamente- attribuiti alla camorra. Soltanto Giuseppe Lojacono, ispettore trasferito forzatamente da Agrigento a Napoli, intuisce un legame tra i vari omicidi e traccia un profilo psicologico dell’assassino; il suo spirito di osservazione viene notato dal magistrato, che lo coinvolge nell’indagine. Insieme i due riusciranno a ricostruire i fatti e a capire chi ne è l’autore e quali sono stati i motivi che lo hanno spinto.

Trama, quindi, a dir poco geniale e perfettamente architettata per il primo romanzo che ha per protagonista l’ispettore Giuseppe Lojacono prima che diventi uno dei “Bastardi di Pizzofalcone”: qui lo troviamo trasferito da dieci mesi da Agrigento a Napoli perché un pentito lo ha ingiustamente accusato di collusione con la mafia. Lojacono è in forze al commissariato “San Gaetano”, assegnato all’ufficio denunce ma in realtà impegnato in estenuanti partite a carte con il computer, con il divieto assoluto da parte del suo commissario di occuparsi di attività investigative. In questo romanzo incontriamo anche altri dei futuri protagonisti della serie dei “bastardi”: il magistrato Laura Piras, la ristoratrice Letizia che diventa amica di Lojacono, il commissario Palma, che nel caso del “coccodrillo” nota Lojacono e lo vorrà con sè a Pizzofalcone. Tutti sono descritti magistralmente, così come gli altri personaggi del romanzo: le vittime, le loro famiglie, i loro amici, l’assassino; con pochi ma eccellenti tratti De Giovanni riesce a far immedesimare il lettore in ciascuno di loro, perfino con il “coccodrillo”.

Con uno stile e un linguaggio lineari ma dinamici, battute ad effetto, colpi di scena, rovesciamenti di prospettiva degni dei migliori thriller d’oltreoceano, De Giovanni ci consegna una storia da leggere tutta d’un fiato, senza pause, senza tregua. Complimenti davvero!

Trama: 9/10

Stile narrativo: 8/10

Linguaggio: 8/10

Originalità: 9/10

Personaggi: 10/10

Dialoghi: 8/10

Ritmo narrativo: 10/10

Descrizioni: 8/10

Atmosfera: 8/10

Capacità di tenere il lettore incollato alla pagina: 10/10

Recensione di “Il metodo del coccodrillo” di Maurizio De Giovanni, Mondadori, 2012ultima modifica: 2020-03-20T21:40:13+01:00da serenabag1976
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